domenica 15 novembre 2020

Nichilismo umanistico

"Nichilismo umanistico" l'unico ossimoro che sento meno di discredere. Quantunque l'aggettivo rechi traccia di una giovinezza ricca di ideali e ardori da cui sentirsi esonerati per stanchezza e sfinimento etico e vissuti come scorie irriducibili del vivere. Ci vedo più Cioran e il suo lucido disincanto metafisico, che l'illuminazione predicata dal Buddhismo zen, così come pure da Krishnamurti. La verità come "terra senza sentieri" di quest'ultimo è pur sempre una verità che presuppone l'impegno a votarsi ad una radicale revulsione dell'essere e il "mira e l'hai perso" del Buddhismo zen è pur sempre un ammonimento che "mira" ad "attaccarsi" al non attaccamento. Il nichilismo umanistico solo invece, prende atto che due sono le cose per chi discrede ed è dotato di lucidità: o ci si toglie di mezzo e si chiude la partita o, se si rimane nel gioco della vita, tanto vale "attaccarsi" ai soli valori che ci son dati dall'orizzonte nel quale siamo stati "gettati" venendo al mondo. L'ultimo incantamento è quello dell'epicureo piacere catastematico proposto da Godani (Il piacere che manca, 2019). Ovvero quello consustanziale al mero fatto di vivere - certo meno sfiancante della ricerca di una qualsivoglia verità o valore. Spinge a spezzare la catena alla macchina produttiva capitalistica che in questa società  tardo moderna fa del desiderio il suo eterno motore. Forse una variante del mio nichilismo umanistico

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