lunedì 13 marzo 2023

Verità

Dopo la verità enunciata da Sgalambro - il mondo senza l'uomo  - la mia, guadagnata già da tempo, si autocomprime e limita come in una camicia di forza. Non riesce ad essere enunciata giacché di essa fa parte la totale inutilità del farlo.

sabato 4 febbraio 2023

Razza umana

La violenza crea caos e l'ordine crea violenza. Così Wolfgang Sofsky. C'è aforisma migliore di questo dilemma, a favore della buona estinzione? (Benatar e Lanterna docunt). 

venerdì 27 novembre 2020

La parola del Buddha

E pensare in una fredda mattina che alla fine quello che conta è il senso che si conferisce all'essere, meglio, all''esserci. Saggezza prima di conoscenza, φρόνησις prima di νόησις. Perché rincorrere ossessivamente la seconda, non fa venir meno il compito di assolvere alla prima. Qui vince il pragmatismo della parabola della freccia del Buddha. Conviene condurre nel modo meno cruento possibile la vita: a che serve, direbbe il Buddha, conoscerne prima soggetto, natura e direzione?


domenica 15 novembre 2020

Nichilismo umanistico

"Nichilismo umanistico" l'unico ossimoro che sento meno di discredere. Quantunque l'aggettivo rechi traccia di una giovinezza ricca di ideali e ardori da cui sentirsi esonerati per stanchezza e sfinimento etico e vissuti come scorie irriducibili del vivere. Ci vedo più Cioran e il suo lucido disincanto metafisico, che l'illuminazione predicata dal Buddhismo zen, così come pure da Krishnamurti. La verità come "terra senza sentieri" di quest'ultimo è pur sempre una verità che presuppone l'impegno a votarsi ad una radicale revulsione dell'essere e il "mira e l'hai perso" del Buddhismo zen è pur sempre un ammonimento che "mira" ad "attaccarsi" al non attaccamento. Il nichilismo umanistico solo invece, prende atto che due sono le cose per chi discrede ed è dotato di lucidità: o ci si toglie di mezzo e si chiude la partita o, se si rimane nel gioco della vita, tanto vale "attaccarsi" ai soli valori che ci son dati dall'orizzonte nel quale siamo stati "gettati" venendo al mondo. L'ultimo incantamento è quello dell'epicureo piacere catastematico proposto da Godani (Il piacere che manca, 2019). Ovvero quello consustanziale al mero fatto di vivere - certo meno sfiancante della ricerca di una qualsivoglia verità o valore. Spinge a spezzare la catena alla macchina produttiva capitalistica che in questa società  tardo moderna fa del desiderio il suo eterno motore. Forse una variante del mio nichilismo umanistico

sabato 14 novembre 2020

Coalescenza

Carestie, pandemie, guerre. Queste le dimensioni della Storia dell'uomo che segnano e spiegano la sua evoluzione, secondo lo storico. Parte però dalla fine del processo. Dimentica infatti la croce della finitudine individuale sulla quale ogni uomo sanguina inchiodato  dai  correlati elementi di difettività e dolore che, come goccioline coalescenti nel liquido della vita si fondono per costituire le prime. 

sabato 23 maggio 2020

Ebrezza impermanente

Stato di eccezione secondo l'ordine ontologico. La sovranità che ne risulta, sembra pacificare e donare ebrezza di liberazione. Ma tutto è caduco e transitorio e anche l'ebrezza di questo stato di eccezione come potrebbe sfuggire all'impermanenza?  

giovedì 7 maggio 2020

Biofilosofia

La coscienza è la malattia autoimmune dell'essere. Il nichilismo è l'attacco più devastante al suo sistema immunitario. La filosofia, il medico pietoso del vivere che, come dice il proverbio, rende la piaga puzzolente. 

domenica 3 maggio 2020

Andare illimite

Camminiamo insieme, stentamente tanto quanto avventurosamente. Quando si è in due, se uno cade, l'altro lo rialza, dice la Bibbia. Ma il nostro cammino non è la vita, è il suo bordo iridescente, dove non vige la legge della solidarietà ma quella della sopravvivenza. Camminiamo ai bordi e moltiplichiamo le nostre esistenze: sappiamo di poter cadere ma eleviamo alla massima potenza la finitudine delle nostre vite e i limitati segmenti del nostro sentire. La posta in gioco non è andare avanti, ma andare illimite.  

venerdì 1 maggio 2020

Invece sei morto

Un giorno ti prende e un altro ti lascia. Poi, pensi comunque di vivere e invece sei morto. Non lo sai, ma sopravvivi a te stesso. La morta gora ch'ha nome vita...

mercoledì 29 aprile 2020

L'attimo che viene

Viene da solo, non evocato, ma accolto positivamente come inaspettata benedizione, esperienza inemendabile. Un momentaneo stato di grazia ma non in senso etico o estetico bensì nel senso dello stato d'eccezione, del necessitas legem non habet. Sai che non ha a che fare con l'erudizione, con la scienza o la profondità noetica, né con qualche forma di intuizione geniale. E' riposata sospensione piuttosto che conseguimento. Immanenza non trascendenza. Sintesi di visione e sensazione propriocettiva. Con questa qualità: spazza tutto e per qualche istante stabilizza quell'inquietezza invincibile di cui parla Svevo. Viene come il nichilismo apodittico di un cosmo che si contrae improvvisamente colmando il bisogno di quella verità "senza sentieri" indicata da Krishnamurti. Forse è l'esperienza più prossima ad una sorta di nirvana "freddo", se esiste e così si può dire. Per un tempo indefinibile non c'è altro che patina confortante, soccorrevole. Non lascia strascichi, se non la memoria di un possibile  stato. Svanisce al primo fremito di vita, al sorgere della prima preoccupazione. Era libertà ineffabile? Saggezza inappropriabile? Come tutte le mattine e le sere del mondo.

lunedì 27 aprile 2020

Un grumo di nichilismo

Da quando sono in grado di pensare, mi porto dentro il monolite del nichilismo, pietra metafisica inscalfibile. Non sono solo, tra gli uomini. Altri nelle forme e nei gradi più diversi lo coltivano, consapevoli o no, come nucleo profondo e inconfessabile delle loro vite. Il nichilismo è come l'HIV dell'esistenza. Fa venir meno le speranze di cui Prometeo ha fornito l'uomo per fargli dimenticare il momento della sua morte e abbassa le sue difese immunitarie esponendolo alla letalità di una qualunque "infezione" della vita. È così che si capisce perché, esposti al virus di una banale contrarietà quotidiana, in modo imprevedibile, ci si possa togliere la vita. 

lunedì 16 marzo 2020

Virus sessuofobo

I timidi, i riservati, gli uomini schivi e asociali, massime i misantropi, dovrebbero gioire per l'utopia realizzata di città finalmente private di esseri in-umani, sempre rumorosi quanto rabbiosi, frenetici e incontinenti, spesso intruppati nelle folle nevrotiche e compulsive dei fine settimana dei centri commerciali. Gli esseri che qualcuno ha chiamato "automi spermatici" (Caraco). Eppure si da il caso, che questa specie di timidi e misantropi sia, in alcuni casi, composta anche da libertini... perbene. E qui casca l'asino, per loro, perché i vantaggi di una umanità resa inoffensiva da un virus che fa spopolare in poche ore intere metropoli, non ripaga dell'immenso danno causato, su un altro versante, da una profilassi sessuofobica, che lungi dal combattere solo il virus disattiva anche tutte le procedure e i meccanismi di seduzione tra i due sessi, rendendo impraticabili, se non patetici, i consueti convegni d'amore. 
Il virus dunque tra gli altri più ingenti ed epocali danni, causa anche quelli per cui passione e godimento diventano, oltre che di fatto impraticabili, anche fatti colposi ed esecrabili.


sabato 31 maggio 2014

Non pensare, danza!

Una ruga sul volto non afferma un concetto, disegna un'emozione. L'essere precari e impermanenti assolve la vita dal rigore e ci lascia soli nel labirinto. Una ruga, invece, citando Nietzsche, dice: non pensare, danza!
 

lunedì 24 febbraio 2014

Lucidità

Quando la tosse secca ti spacca la testa e non puoi respirare senza tossire, le cose si fanno più chiare ed essenziali. Alla base, c'è quella che Spinoza chiama la cupiditas (impulso e volontà coscienti), ovvero lo sforzo di  tutte le cose di perseverare nel loro essere "che ne costituisce l'essenza". Poi c'è, per spiegare tutta la storia dell'uomo, soltanto il dolore da cui rifugge e il piacere che cerca. Semplice e lucido. Vero ed essenziale, quanto una tosse che ti spacca la testa.

mercoledì 14 agosto 2013

Tutto è niente

Che tutto sia niente non è una discutibile asserzione filosofica. Ha il valore piuttosto di una gabbia esistenziale inafferrabile, sempre presente all'esistente, le cui sbarre invisibili non stringono sempre alla gola nei modi concettuali della autoriflessione, ma fanno mancare l'aria nei modi della operosità quotidiana. Fino alla fine per soffocamento, nei casi infausti di radicale debolezza alla vita; ma anche tutti i giorni con l'inconclusivo sfinimento respiratorio.

domenica 16 giugno 2013

Non esiste salvezza


  1. In ultima istanza, nel mondo c'è solo impermanenza.
  2. L'impermanenza è la causa ultima di ogni dolore.
  3. L'uomo è infatti attaccamento di ciò che è impermanente che, come tale nella sua essenza, non può rappresentare alcun fondamento stabile (scienza, filosofia, religione, diritto, società). 
  4. La dottrina che ha dato la risposta più radicale a questa condizione dell'uomo, è il Buddhismo.
  5. La salvezza dal dolore (Dukkha) causato dall'attaccamento, per il Buddhismo, consiste nella pratica del distacco (non-attaccamento), che spezzerebbe la catena ininterrotta e ricorsiva del desiderio, volto visibile dell'attaccamento. 
  6. Ma l'uomo resta essenzialmente attaccamento, anche nella pratica del distacco. 
  7. (1) Perché il distacco è comunque forma suprema di attaccamento o, in altre parole, è impossibile non desiderare di desiderare di non desiderare. 
  8. (2) Perché se c'è salvezza (come il Buddhismo predica), non c'è pratica di salvezza e se c'è pratica di salvezza non c'è salvezza.  
  9. Così, la catena del desiderio non si spezza.
  10. Quindi, se la catena del desiderio non si spezza, nemmeno con la pratica del distacco, non esiste salvezza dal dolore (Nirvana) che il Buddhismo storico predica. 

domenica 13 gennaio 2013

Il senso che conta


Leggo Houellebecq, Céline, Malaparte e mi accorgo di mettere alla prova i miei cromosomi di sinistra. Ma poi, qualunque sia il risultato, questo conta? No, la ricerca del senso, dovunque esso sia, chiunque me lo mostri, conta.

venerdì 2 marzo 2012

la musica più bella

Mentre lascio cadere sul tavolino del bar il Platone offerto dal quotidiano del giorno, mi incontra il ricordo di un passo del Fedone. Socrate, prima di bere la cicuta compone versi e musica. Lo fa - spiega a Cebete - nel dubbio che il sogno che lo ha accompagnato per tutta la vita, spronandolo a comporre musica, non fosse interpretabile come sprone alla pratica della filosofia, intesa da Socrate come "la musica più bella". Forse il sogno intendeva la musica e la poesia nel senso comune. E così, per adempiere al sogno, si mette a comporre carmi e versi - senza far trasparire in questo l'ironia di cui era maestro - negli ultimi momenti di vita prima dell'esecuzione della sentenza.

Sorseggio il cappuccino di fronte all'ampia e luminosa vetrata del bar e penso al mio di sogno a cui da una vita cerco di corrispondere vanamente e che quasi vedo galleggiare sulla schiuma del cappuccino: comporre i miei pensieri filosofici, la "mia opera", "la mia filosofia". Mi chiedo tuttavia se gran parte o tutta la pesantezza esistenziale di questa incapacità che mi porto appresso, non sia dipesa dal fraintendimento, dal non aver adempiuto nell'altro più comune senso, come fa Socrate alla fine dei suoi giorni. Dovevo forse attenenermi al senso letterale del sogno e invece di attardarmi nello sforzo inconcludente di ricerca della "conoscenza dell'unica e sempre uguale natura di tutto ciò che esiste", comporre i carmi e la musica della vita, piuttosto che "pensarla" filosoficamente, forse.


L'altro libro, con cui m'illumino e solidarizzo, mi scivola dalle mani al bar aiutandomi a capire. Nella prefazione a "Filosofia=errore di esistenza" (a c. di B. Giacomini, Il Melangolo 2011) leggo che Ludovico Gasparini (1940-2008), "esperimenta la possibiltà di un pensiero [...] capace di essere nient'altro che vibrazione sonora di un corpo". Mi chiedo se non era proprio questo quello che Socrate diceva essere "la musica più bella".

Finisco il cappuccino e capisco che questo è l'unico modo di adempiere al sogno nel doppio senso: la vibrazione sonora del mio corpo (vita) proteso al senso ultimo delle cose (pensiero) e, nonostante il rumore assordante della radio del bar, su tutto la "musica più bella".

Quello che è lo stile per Gasparini: "non si tratta di definire i concetti, ma di esporli: di farli suonare e cantare".

mercoledì 29 febbraio 2012

teatri

Nel teatro della vita la protagonista principale è l'Appetizione ("Ogni cosa per quanto sta in essa si sforza di perseverare nel proprio essere [...] Lo sforzo con cui ogni cosa cerca di perseverare nel suo essere non è altro che l'essenza attuale della cosa stessa", Spinoza, Etica, III, propp. VI e VII, trad. it. di R.Cantoni e M.Brunelli, Torino, 1972).

Nel teatro "retinico" della mente, protagonista principale è invece il Pensiero.

Entrambi, diversamente da come sostiene il filosofo olandese, mi sembrano tuttavia i punti incoativi l'uno dell'altro. Certo risulta che in entrambi i palcoscenici, la Verità è una comparsa.

domenica 12 febbraio 2012

noi, dio


Leggo di un libro dedicato al pensiero di Spinoza - grande filosofo "ateo ebbro di Dio", "masso erratico della filosofia", come è stato variamente definito - che parte da un passo contenuto nello Scolio della proposizine XLIX dell'Ethica: "nos ex solo Dei nutu agere" ("noi agiamo per solo volere di Dio" - trad. di R Cantoni e M. Brunelli, Torino, 1972,  p. 185).

Un'insolita itnerpretazione ad opera di Alfonso Cariolato che scrive il libro in francese: "Le geste de Dieu" con il contributo contrappuntistico (note e commenti successivi al testo dell'autore) di Jean-Luc Nancy.

Non mi interessa qui l'interpretazione di Spinoza, ma il fatto che Cariolato abbia assunto quella frase, e solo quella, cone asse portante, punto d'appoggio archimedèo, della sua teoria-interpetazione. In essa è come se avesse visto un punto di vista privilegiato da cui guardare all'essenza del pensiero del filosofo olandese e la cosa mi intriga alquanto. Perché?

La risposta è nella frase stessa di Spinoza: nos ex solo Dei nutu agere.

sabato 4 febbraio 2012

Montagne

Guardo una montagna di neve, fuori. Guardo una montagna di libri, nella mia stanza. Guardo la montagna più alta, che porto dentro. Ma dov'è la strada per scendere a valle?

martedì 10 gennaio 2012

passioni

Per Charles Fourier (1772-1837) l'attrazione passionale è "la sola interprete conosciuta tra Dio e l'universo".


lunedì 9 gennaio 2012

Miss Dior

Non basta la tenuta sportiva e dimessa a nascondere la sua fiera "corazza". Le lamine d'acciaio che ricoprono la sua anima si vedono sul volto splendido e corrusco, memore di antichi popoli, che una vita difficile non è riuscita a cambiare. Lei si difende da una vita e la vita si difende da lei.

Non hai bisogno di difenderti, vorrei dirle. Ma le parole mi restano in gola: non so se capisce che in realtà voglio dirle: "non hai bisogno di difenderti da me". Vorrei parlarle al di là di quella corazza e con parole distensive cerco di blandirla, ma il risultato è una maldestra e impacciata preghiera che mi esce come un sussurro. Così piano che lei non sente. Ma forse non l'ho nemmeno sussurrata, quella preghiera. Ci vediamo, fa lei alla fine e accenna ad andare, mi aspettano, dice. Io riprovo a sussurrare qualcosa. Ma lei non sente. Si, lo so, la corazza la separa: sembra "insonorizzarla".

Ci vorrebbe un urlo, il grido di un drago, ma la voce mi rimane nella strozza. Non mi vedo nelle vesti del drago. E poi con l'urlo del drago, uscirebbero, insieme alle parole, le fiamme: potrei bruciarla.

Nell'incertezza, non faccio niente: né urlo, nè drago, né sussurro. Affranto e stanco, mi fermo a pensare in quale altro modo avrei potuto penetrare quella corazza per parlare veramente con lei.

La guardo mentre si allontana. Poi un refolo d'aria porta con sè delle strane particelle: un effluvio celestiale che mi entra nel naso. Primavera? Macché! Siamo in pieno inverno. Con fare interrogativo la chiamo e le dico se è lei il fiore di primavera che sento. E lei urlando mi fa: no, Dior!

Che stupido, come ho fatto a non capire? Altro che urla, altro che draghi per abbattere le difese. Le corazze d'acciaio non possono far nulla contro le particelle volatili di profumo che penetrano anche nei fori più piccoli.

Sì, la prossima volta salirò, come fosse un tappeto volante, su una di quelle particelle, oltrepasserò la corazza e, sono sicuro, finalmente riuscirò a parlare alla sua anima.

Ma se, dopo tanta fatica, alla fine la sua anima non vuol parlare con me? Jean Baptiste Grenouille, aiutami tu!

domenica 8 gennaio 2012

Epistemofilìa

Sono affetto da cronicismi vari ma anche da una malattia strana. Amo i libri che parlano di libri, le recensioni e ogni altra forma di scrittura meta-libraria (sulla carta stampata o sul web arrivo alla perversione di preferire spesso il meta-testo, in qualunque forma, al testo di cui tratta).

Non c'entra il senso di potenza della potenza di fuoco del critico o il gusto che dà il crivello analitico e confutatorio del polemista. E' che il mio "progetto interpretativo", la mia "pre-comprensione" (ermeneutica) di un autore o di un problema, dipendono dall'"epistemo-filia" (godimento/benessere che provo grazie alla conoscenza/cognizione di qualcosa) da cui sono affetto e con cui mi avvicino a tutti i libri. Non che non ci sia epistmofilia nella comprensione che avviene generalmente leggendo un libro tout court, ma il tasso di questa affezione, il vero godimento, è maggiore se la lettura è meta-lettura.

Non so quando sia nata questa malattia o quando ne sono diventato consapevole. Ma di certo mi sembra da tempo meno libro il libro che non avvicino per "sentito dire" o perché su quello ha scritto qualcuno da qualche parte.

Una "funzione seconda" della mia lettura che, lo ammetto, sembra indicare il cerebralismo della posizione di chi trasforma l'oggetto reale nell'oggetto del soggetto che vede l'oggetto.

sabato 7 gennaio 2012

Brivido, Volo, Estasi

Se dovessi costruire un sistema filosofico alla vecchia maniera - nel senso di prima della "Fine della modernità" (1985) di Vattimo - inizierei da queste tre parole topiche: Brivido, Volo, Estasi.

Il Brivido, sarebbe il mio principio gnoseologico: conoscere, stupirsi, la storia della filosofia come stupore (il ϑaumάzein).

Il Volo
, sarebbe la parola-simbolo per il principio etico: a rappresentare il sentimento dell'equilibrio sospeso ma che guarda dall'alto delle cose, dell'ordine galleggiante (φρόνησις).

L'Estasi
, starebbe per il principio estetico: spinta dionisiaca, gioco, posta su cui puntare, principio della cosa ultima per cui vale la pena vivere, stato alterato di coscienza, rapimento, piacere dell'anima (ἔκ-στασις).

Ma il moderno c'è stato e il post-moderno si è portato via tutte le "grandi narrazioni" e le filosofie fondamentaliste (fondazionaliste) e autoritarie, compresa la mia, prima ancora che potesse nascere.

venerdì 6 gennaio 2012

basta senza fine

E' un attimo, non devi sprecarlo. Per dedurne l'infinito geometrico e confutare chi non sa. Così il miracolo si compie, sebbene solo per poco tempo. Soggetto e oggetto non sono tutt'uno: semplicemente non sono. Mai, più gioia piena; mai, più viatico e commozione; mai, più suprema delizione.

"Dirocca i fortilizi" e lascia stremati, soli, senza mura e difese. Il libero gioco dell'intelletto con l'immaginazione, di cui parla Kant, al di là del limite sublime.

Qualcosa che non hai bisogno di tenere, afferrare, conservare, ma solo di lasciare che sia. Qualcosa che basta senza fine.

giovedì 5 gennaio 2012

belle redenzioni

La bellezza redime, sempre.

Checché ne dicano i critici di Dostoewskij. Chi può negare il fulgore degli occhi, la piccola estasi dei sensi e l'incendio incoattivo che prende chi vede una cosa bella? Piccola o grande che sia, risplende e determina un insight cognitivo prima ancora che percettivo.

Ascolto, vedo, tocco, gusto, percepisco propriocettivamente, ne sento l'odore. Poi leggo mai più bella frase fu detta e conchiusa in sè:

L'assoluto è risultato. Il circolo che ha al proprio inizio la propria fine come proprio fine e solo alla fine diventa ciò che realmente è (Hegel)

Qui si dimostra che la bellezza è uno stato incondizionato della mente, prima ancora che essere sensazione. Semmai il problema è il riscatto dell'inferno che segue. E' il brutto della "vita offesa" che è irredimibile.


mercoledì 4 gennaio 2012

la tosse di Hopper

Ti collassa la mente, concentrata e pure in dimenio. Non è insorgenza, non un ascendere, nè uno sprofondare, ma focalizzazione. Non sguardo interiore, ma puro dolore nella "strozza". E' come se i tessuti e i muscoli si disserrassero liberi e sfrenati, il sangue li inondasse per esplodere insieme a loro.

L'aria ti manca: e' un rantolo che non porta alla fine ma si avvolge iterativamente in se stesso. Graffia la laringe, la spreme come uno straccio bagnato, ti serra la gola. Non si vede l'inferno ma è come un bruciare lacerante, un sentire struggente. Il colore che vedi non è quello degli impressionisti, ma quello di Hopper.

Un colpo di tosse è esistenza inconsumata, ti esonera interminabilmente dalla vita.

martedì 3 gennaio 2012

vuoto

Dall'eremo al cenobio. Dal cenobio al cenacolo. Per finire al convivio. Una solitudine con dio che è un vuoto a perdere.

lunedì 2 gennaio 2012

leggere L'Idiota

Se l'Idiota di Dostoevskij ha come tema centrale la purezza, sia nella forma spirituale del principe Myskin, sia in quella sensuale di Nastasja Filippovna, allora non sembra esserci luogo per entrambe le forme sulla terra, sembra dirci il romanzo.


La prima retrocede nella follia, dopo aver attraversato il mondo, apparentemente sempre ammirata ma in realtà negata; la seconda, si annulla nella morte che viene data, paradossalmente, da chi più di ogni altro la desidera con passione (Ragozin).

Fallimento terreno dunque della Bontà e della Bellezza? Ma la purezza di Dostoewskij vuol dire inconseguibilità assoluta oppure solo scacco immanente in funzione di un salto nel trascendente? Resterebbe solo il "mistico"?

Franco Cassano, nel suo L'umiltà del male (Laterza, 2011), non accenna all'Idiota nella originale reinterpetazione che fa della leggenda del Grande inquisitore (dentro I fratelli Karamazov). Ma sospetto che dietro la sua critica all'alterigia disinclusiva di una certa idea integralista e d'élite del Bene (da parte della Sinistra), ci sia anche la critica dell'idea di purezza dell'Idiota.

domenica 1 gennaio 2012

cessare d'essere

"La filosofia, quale solo potrebbe giustificarsi al cospetto della disperazione, è il tentativo di considerare tutte le cose come si presenterebbero dal punto di vista della redenzione".

L'affascinante soteriologia di Adorno alla fine dei Minima Moralia non sembra aiutarci, così come quella del Buddhismo, unici strumenti "di salvezza" del pensiero che mi pare valga la pena considerare.

Sospetto che abbia ragione Mainländer con la sua entropia nichilistica.  E mi convinco sempre di più che allora "Redimersi", "Salvarsi", "Liberarsi", potrebbero solo voler dire "far cessare l'essere".

Lui si suicidò non appena terminata la stampa del suo libro.

sabato 31 dicembre 2011

domenica 25 dicembre 2011

essere tosse

Feste da malato. La solita tosse canina, dovuta ad un edema alla laringe insieme a laringo-tracheite e spasmo bronchiale, come recita  la diagnosi dell'otorino. La tosse mi spacca la testa in due. Penso all'"apostasia degli organi" di cui parla Cioran e alle cellule cigliari della laringe che di questo organo ne fanno aggressivi guerriglieri tupamaros, piuttosto che semplici bestemmiatori.

Come la coscienza, per giunta "lucida" possa emergere da questi fili sensibili che mi tengono in ostaggio con un vellicamento compulsivo fino all'ipocondria mentre parlo o respiro, è per me un enigma. Perciò io dico che esistono davvero due razze d'uomini: i sani e i malati affetti da cronicismi (vedi qui post dell'11/12/07).

Ma se ai primi è preclusa la coscienza e ai secondi non è detto che sia data la lucidità, a me di certo è data una desocializzazione ossessiva, un silenzio coatto, una disabilità vocale che mina nel profondo più il mio essere che la mia comunicazione. Se è vero che "il linguaggio è la casa dell'essere".

giovedì 22 dicembre 2011

tener fermo un punto

Se si sceglie di tener fermo un punto, non per ragioni metafisiche, visto che di verità non se ne vedono, ma per comodità di rappresentazione, sembrerà che tutto cominci o possa cominciare da lì: punto archimedeo da cui muovere per guadagnare tutto.

Così la vita, per quanto da noi possa dipendere, appare come uno spazio che si dischiuda al nostro sguardo, non per una proprietà che possieda in qualche modo in se stessa, ma per una capacità che mette in campo quest'ultimo. 

E' nel suo suo stesso dispiegarsi che lo sguardo trova ragion d'esser e di continuare, tralasciando qualsivoglia fondamento e conchiudendosi nel suo stesso movimento. 

mercoledì 21 dicembre 2011

leggere

Leggere un libro allo stesso modo in cui da una cosa ne va della vita di un'altra. Come una "messa alla prova" quasi fosse impossibile la "cosa" della vita senza la "cosa" del libro. E anche la sua forza fosse impossibile senza quella della prima. Un dipendere decisivo di cui ne va l'esistenza, come la morte, alla fine della lettura. Anche se tutto dentro il pensiero.

venerdì 16 settembre 2011

s-guardo

 Hans Holbein, Cristo nella tomba, 1521                                            
                    
Il mondo si da' al primo sguardo, ma anche al secondo e, forse, al terzo. Non per offrire profondità di grado o recessi sconosciuti ai più, ma permettendo a chi lo sa guardare di assumere altre prospettive, solo, cambiando il punto della visione. Di tal ché possa attingere non verità più fondamentali, ma verità diverse.

domenica 21 agosto 2011

ombelichi





Perché quando guardo il mio ombelico vedo il mio universo interiore e quando guardo quello degli altri vedo solo un ombelico?

lunedì 15 agosto 2011

Heidegger e l'usabilità

M'intriga il rapporto tra il concetto heideggeriano in Essere e Tempo di Zuhandenheit (utilizzabilità) e quello di usabilità. L'intrigo è nella dimensione filosofica della user exsperience. Conosco l'intrico cognitivo, per ora, non il filo che mi conduce a risolverlo.

martedì 1 marzo 2011

contagio cognitivo

Mi piace cominciare dall’aneddoto che credo aiuti a spiegare come nessun altro discorso l'economia della conoscenza. L’aneddoto è questo: se due persone si scambiano una moneta, rimane una moneta. Se si scambiano una idea, le idee diventano due.

La cosa straordinaria mi pare non sia solo la moltiplicazione ma anche la proliferazione, ovvero la possibile e imprevedibile combinazione/concatenazione della nuova idea nell’enciclopedia del sapere di ognuno. Si tratta, a pensarci bene, di una sorta di “magia dello scambio” (non di mercato..) che genera valore “intangibile”. Il bello - ci pensate? - è che questa cosa può avvenire tanto in una dotta conferenza quanto in una “chiacchiera”, tanto in una lezione universitaria quanto in un convegno, durante l'omelia di una messa come in un pettegolezzo di corridoio. Sempre e comunque dove le persone dialogano, argomentano, discutono, si riuniscono, si informano, si coordinano, si organizzano. Insomma in qualunque forma alta o bassa di scambio linguistico.

(Questa idea di sviluppo del capitale cognitivo credo sfugga alla giusta critica che Amartya Sen porta a quella di "capitale umano" nell'intervista che ha rilasciato al Forum-PA 2010, dove accenna al bel concetto di "fiorire" dell'uomo).

Lo scambio avviene in modo strutturato e sistematico nella formazione. Quante inusitate proliferazioni nelle enciclopedie dei saperi degli allievi nelle aule e nei corsi? Sono state mai contate? Se ne conosce il valore reale? Voglio dire che è questa semplice magia cognitiva generata a volte anche da una sola parola, che è sempre al centro di qualunque interazione umana, ma che tuttavia non consideriamo mai abbastanza nella sua funzione di fattore che, dopo aver agito inconsapevolmente in noi, favorisce scelte, decisioni e corsi d'azione. Anzi, sciaguratamente, spesso la ignoriamo, quando finanche non la disprezziamo.

Massimamente, come dicevo, nelle aule delle scuole dove “untori” professionali invece favoriscono ogni giorno l’invisibile contagio, diffondendo in modo epidemico e virale idee, schemi e concetti, senza che nessuno, nonostante moduli di feedback, follow up e studi sulle “ricadute” formative possa considerarne davvero fino in fondo gli effetti che si generano, si scatenano, proliferano, nelle menti delle persone.

Scusate, ma a me il fenomeno sembra davvero una sorta di trasformazione alchemica di idee. La cosa mi colpisce a tal punto che se un giorno doveste vedermi crucciato esitare a camminare, sappiate che sto pensando a questa alchimia: “Questo sol m’arde e questo m’innamora”.

Il fatto è che quando intorno a me ogni giorno vedo ragazzi partecipanti alle lezioni delle scuole che escono dalle aule, che discutono di orari e calendari, docenti che progettano la didattica, mi chiedo sempre: saranno consapevoli della magia? Uhm, si direbbe di no, osservando le loro facce volitive o depresse, talvolta sperse e protese verso un’inconsumata voglia di Altrove.

Ne sono segno evidente anche le frasi blasfeme… che spesso pronunciano, del tipo: sono solo chiacchiere, è tutta teoria, tutte ste’ lezioni e discorsi che non servono a niente! E’ in questi casi allora che vorrei gridare forte a tutti l’aneddoto dell’economia della conoscenza e far notare che è impossibile che noi umani si perda mai tempo quando ci intratteniamo con qualunque forma di parola e di linguaggio sociale.

Sì, credetemi, vorrei predicare a ognuno come uno Zarathustra che scende dalla montagna:

“Ma ditemi, fratelli miei, cosa può fare un’azione che non sappia fare anche una parola? A tal punto siete ciechi da non vedere questo Grande Meriggio della Parola? Or dunque, fratelli, non vedete che ci vuole una vita per cambiare un’idea, ma basta un’idea per cambiare una vita?”.

venerdì 21 maggio 2010

prendersi alla giugulare

Se non mi trovo totalmente e senza riserve in questa parola, perché la scrivo? Vale la pena seguitare a cercarla ben sapendo che tradirà ogni mia attesa e ogni mia degnazione? Meglio desistere, esonerarsi, distogliere lo sguardo, prendersi alla giugulare della propria illusione metafisica. Meglio fuggire un assoluto anaffettivo e inabile a vivere.

giovedì 25 marzo 2010

sulla mia lapide

"Nacque, studiò e non rinacque", l'iscrizione che farò mettere sulla mia lapide parafrasando quella che Heidegger ritenne appropriata per Aristotele: "Nacque, lavorò, morì" per indicare il totale allineamento di pensiero e vita nello stagirita. Che cosa si allinea in me?

domenica 7 marzo 2010

22.

Contrapponi alla vita insensata l'amore, l'arte, il piacere, qualunque altro valore? Se vai avanti senza voltarti avrai l'impressione di scalare la montagna e la vetta è sempre il prossimo passo. Ma quando il prossimo passo è la vetta, accecati per non morire di sete.

21.

La vita come un "qui che inizia" tanto quanto un "qui che finisce". Cosa sia questo "qui", lascialo agli altri. Tu sei già andato via.

sabato 16 gennaio 2010

20.

Guarda quella porta. Non si tratta di oltrepassarla, né di chiuderla, né di aprirla. Guardala come l'orlo di un precipizio. Tu puoi avvicinarlo ma il vuoto che vedi in esso non riguarda il mondo. Altri sanno cose. Tu sai solo il vuoto che cresce oltre la porta.

19.

Pensa per valori per pensare al di là dei valori. Dopo Nietzsche, dopo lo zen.

venerdì 28 agosto 2009

18.

Venire in chiaro mattutino: tra l'aurora e il grande meriggio, c'è il buio di mezzanotte. Per parafrasare Hegel: la morte è la medicina alla malattia che essa stessa è.

lunedì 24 agosto 2009

17.

Quali fremiti trovi nel tuo corpo, quali nella mente? Chieditelo ogni giorno e ogni giorno muori un attimo dopo.

16.

Nel nostro bozzolo ego-egoico ci manca l'aria. Siamo tutti chiusi. Fuoriescine con il "sed intelligere" di Spinoza o la "Volontà di potenza" di Nietzsche.

15.

Scende da una montagna ma è come se emergesse da un abisso: serbane la forza al dimenio che la prende.

14.

Ascolta ciò che ti dice la mente e cascaci dentro. Poi risvegliati nel sogno che sai ricavarne. A seguire non sarà l'agire ma il vedere.

lunedì 17 agosto 2009

13.

Quando l'eccitazione dei sensi gareggia con quella della mente, è come l'onda che cavalca il mare (è come il "movimento amoroso" di Fourier)

12.

Contro la tirannia dei valori e la dittatura della realtà, pratica l'unica antinomia possibile: la grazia dello sguardo.

11.

E' della prova, forza e determinazione. E' della forza, il buio. Della determinazione, la luce. Da ciò l'ambivalenza ancipite del risultato, quando è prova la vita.

9.

Quel gesto non ha sitile perché lo racconta. Tu, tienilo per te. Guardalo in tralice.

10.

Non il pensiero. Goditi il pensare.

8.

Redimi la creatività del tuo ego sciogliendola nella bellezza di un gesto clandestino.

7.

Sei davanti ad uno specchio e guardi il tuo volto. Prova a farne a meno, pensandoti da dietro.

6.

L'immagine non è per te il concetto che ne hai. Per te è il piacere del concetto che ne fa l'immagine.

venerdì 10 aprile 2009

5.

Il brutto ti angustia, l'orrore ti fa piangere. Cerca un odore ed eleggilo a compagno. Giubila per la sua fedeltà ai sensi.

4.

Il dolore ti atterra. Abbassando il capo osserva il tuo declino: l'occhio t'inciela.

3.

Salvarsi o perdersi, che fa? Continua a camminare e aspetta la sera delle cose e il piacere che ti viene dal tramonto.

2.

Assumiti il compito. Non lasciarlo agli altri, ma dissolvilo con lo sguardo. La cura viene dal guardare.

1.

La vita ti spezza. Tu, se puoi, anticipane il verdetto.

martedì 17 febbraio 2009

inessenza

Il grumo d'inessenza che mi si para davanti alla fine della riunione, è quello stesso che vedo quando esco dal lavoro. Apodittico quanto l'idea del lavoro di Baudrillard: "Morire alla vita ogni giorno vendendo la propria forza-lavoro. La contropartita di questa morte, la chiamano salario". Il grumo che vedo è una sorta di minaccia che si dichara sul selciato. Vuole smembrarmi, mi accompagna e promette esiti inquietanti. A nulla vale convincersi che quel grumo sono io, pronto a scomparire al prossimo pensiero. Me ne resto aggrovigliato-abbarbicato nel mio intrico di fili, tanto invisibili quanto insostanziali. Chiedendomi: si può combattere un'inessenza?

domenica 20 aprile 2008

riprendo a scrivere con fatica

E' nella mia scrittura tutta la fatica di vivere. Le parole finiscono con l'inchiostro, poi ci siamo noi che viviamo.

giovedì 17 gennaio 2008

vendetta

Non doveva stuzzicarle e provocarle ogni santa mattina. Così, per vendicarsi, gli inondarono la bocca di sangue fin quasi a soffocarlo. Mentre lui sporgeva il collo dallo specchio, lo guardavano beffarde, le sue gengive irritate.

cercare

Un illuminato non cerca. Se cerca, perde. Anche se non cerca, perde. Così come se né cerca, né non cerca. Un illuminato allora che fa? Molla la presa. Ma senza afferrare.

giovedì 10 gennaio 2008

la strada di cormac

Riporto di sotto i due commenti postati il 31 dicembre 2007, dopo aver letto la recensione di Marco Rovelli su nazione indiana de La strada di Cormac McCarthy, Einaudi, 2007.

Proprio perché non consente interpretazioni univoche, il libro di McCarthy è un capolavoro. Anche ermeuticamente perfetto, oltre che narrativamente riuscito, direi. Un vero libro-buca in cui cadiamo dentro, magari per caso, come è capitato a me (veramente dopo aver letto la recensione di Rovelli). Asciutto non meno che ispirato, essenziale quanto profondo, astratto e materiale. Proprio come un pensiero filosofico alto, cerebrale e viscerale. Se lo vuoi cogliere, non sfuggi agli ossimori. Appunto, imprendibile, come un vero capolavoro.

* * *
Dimenticavo. La cuspide + alta su cui mi sono trovato leggendo il libro: uno dei passi citati nel commento di Plessus del 15 dicembre. “Qual è la cosa più coraggiosa che tu abbia mai fatto? […] Alzarmi stamattina, disse.”In questa frase trovo l’irresoluta alfa e omega del senso con cui conbattiamo ogni giorno scrivendo, pensando, vivendo. Come dicevo, pensiero filosofico alto. Mi fa pensare al campo tensivo che apre l’incipit del Mito di Sisifo di Camus, a quello che chiama “l’unico problema filosofico veramente serio” (Il suicidio).

venerdì 4 gennaio 2008

al chi dell'essere

Fedeli al cosa e al come. Problemi con il quando. Ma l'essere continua e il pensiero che discrede nasce dopo. Fino all'inizio del chi muore.

lunedì 31 dicembre 2007

acufene

Non si tratta della perdita del silenzio, del "sollievo" momentaneo di non sentire rumori, dato che una condizione di assenza totale di suoni dal mondo non si dà neanche quando non si soffre di questo disturbo. All'acufene la mente si adatta e il fastidio, quando il cervello si focalizza sulle vicende di tutti i giorni, quasi non si avverte.

Il punto è che il rumore - sibilo o sonorità di fondo, vibrazione bassa o acuta che sia -, che si sente quando si soffre di acufene, non proviene "dall'esterno" ma "dall'interno" del cervello. E' come se qualcosa nel sistema nervoso centrale sfuggisse al controllo e qualche neurone si mettesse a funzionare per conto suo invece di aspettare gli stimoli esterni.

Quel rumore è causato dalla prorpia interiorità e a nulla serve tapparsi le orecchie, come si fa quando ci si vuole proteggere da un rumore troppo acuto. Siamo noi, è il nostro cervello che produce il suono acuto. Simbolicamente, è come la perdita di una incontaminazione primaria della mente, una innocenza acustica che non c'è più. E' in questa perdita di una libertà di base, di una possibiliità, come un pittore che non disponesse più di un colore, che ci si sente.

La sottile sofferenza dell'acufene sta nel dover sentire per aggiunzione (di suoni che si sovrappongono ad altri suoni ed eliminano quelli non scelti) più che per sottrazione (di quelli indesiderati, in favore di quelli che si vuole sentire).

venerdì 28 dicembre 2007

derive

Uscire dal lavoro e aspettare l'autobus un'ora, al gelo del marciapiede. Stare lì e chiedersi perché - oltre l'automatica rabbia per il disastro romano dei servizi pubblici - questo sentimento s-collima col pensare inteso come discredere. Sa troppo di stereotipo, di prevedibile. Lambisce la confortevolezza dell'esistere, la sua amministrazione, non entra nel merito ultimo (o primo) dell'essere delle cose. Come lamentarsi dei pomelli d'ottone non lucidati di una nave alla deriva. La "deriva" del nostro esistere, rispetto al poca cosa della deriva del nostro tragitto per tornare a casa, mi dico. E prendo l'autobus tutto infreddolito, con sguardo basso, senza protestare con il conducente.

venerdì 21 dicembre 2007

giovedì 20 dicembre 2007

contemplare, masticare

Il barocco che vedo entrando in S. Andrea della Valle durante la pausa pranzo, è nel sontuoso gioco di masse, luci e volumi che assale all’inizio della navata. Dice in ogni punto di una fastosa glorificazione – risuona come un continuo ad majorem dei gloriam. E' certo per questa ragione che la luce, riflettendosi sugli ori delle decorazioni, appare abbagliante, in quest’ora meridiana.

Non sono io che cerco di capire il significato della formula barocca “impressionare, convincere, persuadere” affidato alle forme, ai marmi e agli affreschi della basilica. Sono loro che mi accolgono e mi invadono quando entro.

Mi siedo per osservare l’abside. La teatralità dei dipinti di Mattia Preti sul martirio di S. Andrea, non sembra disturbata dal disordine provocato dal brusìo e dai flash dei turisti.

Mi godo e mi abbandono allo spettacolo non toccato dal pensiero che l’hanno allestito artisti al soldo di qualche Papa o Cardinale controriformista. La Gloria del Paradiso del Domenichino sulla volta della cupola mi assorbe incantato con la testa all’in su, in un giro su me stesso che mi fa quasi barcollare.

Fuori, nella piazza adiacente, sento il clamore di una manifestazione che si svolge contro il carovita. Dentro, dentro di me, il dipinto celestiale. Fuori, le rivendicazioni contrattuali. Dentro, lo spazio extra ordinem di una celebrazione. Mi faccio prendere dall’emozione e metto da parte il panino che stavo mangiando. La masticazione disturba la contemplazione.

mercoledì 19 dicembre 2007

figlio che legge

Ieri sera ho dato il bacio della buonanotte a mio figlio mentre leggeva. Era la prima volta che lo vedevo così assorto, rinserrato sotto la coperta del letto e concentrato sulla pagina illuminata dal faretto della mensola. Aver sperato or sono 16 o 17 anni fa, ancora prima che nascesse, che avvenisse qualcosa che ora al culmine dell'adolescenza vedevo compiersi davvero, mi ha fatto una certa impressione. Certo, la lettura di un libro come buca in cui si cade (G. Bataille) o come l'ascia che spezza in due l'anima (Kafka). Ma non era questo. Non si trattava di una lettura ardente e spasmodica. Il fatto è che mio figlio leggeva come fosse una cosa ordinaria, non per prendere sonno, ma in vigile attesa di qualcosa che avveniva lì sotto i suoi occhi, tra le mani. Come fosse un fatto normale, un' "abitudine" acquisita. E questo mi bastava per ritenermi soddisfatto di vederlo crescere bene. Cosa speriamo noi padri, sperando che i nostri figli vengano su come noi crediamo sia il meglio per loro (per noi)? Cos'è che ha reso il mio sguardo così languidamente rassicurato perché mio figlio leggeva? C'ho pensato un po' su prima di andare a dormire. Cerebrale come sono, Hegel mi è venuto in soccorso: la conoscenza, come rimedio alla malattia che essa stessa è. Sì, me ne sono convinto, era questo che mi rassicurava, mentre mio figlio leggeva il suo libro sotto la luce del faretto. Grazie Hegel.

inizio giornata

Questa mattina, cosmogonie nate e collassate nel breve sorso di un cappuccino.

martedì 18 dicembre 2007

la brezza delle cose

Saturno non cancella sogni e realtà. Si tratta di vivere con le cose che ti vengono incontro per come ti vengono incontro, con realismo ma anche con ispirazione. Giacché dove c'è lo stipite, lì c'è anche la brezza. E quando arriva l'epilogo, c'è anche l'esordio. Ma spesso si resta fermi, dilaniati tra responsabilità e jouissance. Quale dio ci costringe a non essere saggi?

lunedì 17 dicembre 2007

la mattina, un che di metafisico

Il traghetto che sobbalza e caracolla in un frastuono di ferraglia e di sedili, mi porta per le strade di Roma. Da Prati al Lungotevere, da Piazza Augusto Imperatore a via del Corso, fino a Piazza Venezia. Finisce la corsa e poi mi scarica. Buio pesto, alba, aurora o chiarore mattutino, accompagnano il mio trasbordo da una condizione dell’essere ad un altra, secondo il succedersi delle stagioni. E’ il sacrificio del dover “morire alla vita” per trasformarla in forza lavoro, che avviene ogni giorno. Nello scandirsi dei ritmi stagionali osservati dal finestrino lungo il tragitto, mi sento partecipe, nel mio piccolo, di qualcosa di ancestrale e fatale che si ripete con assiduità. Questa Sconosciuta Realtà, sotto forma di Mezzo Pubblico, mi guida e mi accompagna nel passaggio rituale dall’Io alla Società. Mi aspetta al capolinea per trasmutarmi la coscienza durante il breve viaggio e ogni volta so che scenderò diverso da come sono salito. Dopo lo sciabordìo trasognato, con gli occhi pencolanti di qua e di là su qualche pagina di libro o a guardare le strade deserte della città, vengo consegnato all’approdo previsto. Ma prima, un che di metafisico, come la bruma di un limite oscuro, dispone della mia assonnata interiorità trascinata all’appuntamento di lavoro. So che non il Mondo ma il mio Io Diverso comincia anche oggi dal selciato dell’ultima fermata. Da lì, durerà tutto il giorno.

venerdì 14 dicembre 2007

discredere

Pensare è discredere. Discredere è revocare in dubbio ogni pensiero, ogni azione, ogni condizione, giacché in ogni pensiero, in ogni azione, in ogni condizione c'è l'mpermanente. Che questo impermanente sia, è il compito più arduo a cui è chiamato il pensiero che discrede e tuttavia l'unico spazio in cui può vivere davvero.

martedì 11 dicembre 2007

alleggerito dall'astio

Più vado avanti e più vedo intorno a me solo due razze d'uomini. Quelli relativamente in salute. Quelli in mala-salute. Vedo via via biforcarsi e disporsi in bell'ordine, a partire da questa tassonomia duale, tutti i prodotti della cultura e della civiltà, le manifestazioni più esaltanti e le azioni più meschine del genere umano. Si potrà mai capire - mi chiedo - quanto salute e mala-salute possano condizionare il normale statuto dello spirito e della mente, nel senso materialistico della marxiana condizione che precede la coscienza? Con riguardo alla genesi, alla metamorfosi ed alla loro eventuale decomposizione, uno stato malfermo di salute mi sembra infatti fatale per una normale produzione di azioni o di idee. E proattivo di ogni condizione spirituale costipata, congestionata, nero-incupita. I cronicismi poi - misconosciuto stadio terminale di ogni comune malattia - mi appaiono come la dimensione assoluta di un nesso causale così nefasto. Di questa verità, rimugino una metafisica convinzione, partorita e cresciuta via via direttamente dentro le mucose dei miei setti nasali e tra i bacilli della faringe, prima che nelle categorie della mia mente. Faccio i conti ogni giorno, tra le pieghe di pur miti riflessioni, con ulcerose invettive contro medici e terapie, farmaci e ambulatori. Eppure dalla tassonomia delle due razze non credo di poter cavare enunciati di conoscenza migliori o diversi da quelli pronunciati da altri prima di me che si chiamavano Leopardi, Stirner o Cioran. Nondimeno, solo con la dualità delle razze - pensiero malato corrispondente a condizione malata - riesco a sentirmi meglio e meno sopraffatto dal peso della condizione "insana". Quando, per strada, imbacuccato e alla mercé di un vento livido e crudele, mi viene da tossire, penso alla salute degli altri. A loro, "razza superiore" di uomini produttivi e in buona salute, io ometto malaticcio ma alleggerito dall'astio.

giovedì 6 dicembre 2007

piangere

Non sapevo fosse così facile piangere. Intendo proprio a dirotto, con lacrime che scorrono fluenti e irrefrenabili. Non credo per eccesso di presunzione egoica o per un non confessato maschilismo, ma ho pianto poco nella vita. Certo l'amore, un lutto familiare, una atroce sofferenza altrui. Devo dire che la lettura di antropologi e filosofi alla ricerca del significato delle esperienze + insondabili dell'uomo come il riso e le lacrime, mi ha avvicinato a queste esperienze come ad esperienze "curiosamente" umane. Rare risate di gusto - ammetto la mia seriosa grevità - e poche e stentate lacrime, nella mia vita. Pensavo che a queste poche occasioni si limitasse il mio coinvolgimento e lì finissse. Erano stati più singhiozzi, in verità, che gocce versate. Per questo mai avrei pensato che fosse così facile piangere, meno che mai sul posto di lavoro, davanti ai miei colleghi. Eppure l'ho fatto per la notizia di un rovescio (sfortuna) della mia carriera professionale, non dipendente da me. Quando accadono cose così, nel limite del proprio ego, si pensa di essere soli di fronte al colpo, soli nel tu per tu con le avversità, sotto i "segni" del Destino. Proprio a me? e perché? che male ho fatto? - ti chiedi e come denudato, continui a piangere bagnando le guance senza vergogna.

martedì 4 dicembre 2007

incarico

Conto i giorni d'attesa al mio incarico dirigenziale. Aspetto dall'ottobre 2004. Ora, sembra fatta. Firma del Capo dello Stato, registrazione Corte di Conti, contratto, incarico. Nell'intanto mi sento dire: "L'uomo giusto al posto giusto". Un comunicatore, un servizio di comunicazione. Bene, finalmente - dico - forse vale per me. No, macché. Piano, contropiano, dissolvenza. The end. Il film è finito. Servizio di comunicazione, dove sei? Lascia stare, non mi aspettare. Vado a occuparmi di contratti pubblici :(

comunicazione d'immagine

Mi chiede: "Cosa farebbe Lei per valorizzare l'immagine dell'ente, per renderlo maggiormente credibile agli occhi del suo target?". So che non si comunica l'immagine, ma l'identità. E' che bisogna guardarsi dentro - mi dico - in ciò che costituisce l'essere dell'ente (organizzazione), prima di orientarsi al di "fuori" dell'immagine. Ma guardarsi dentro costa di +. Agli individui come alle organizzazioni. Allora - penso - si finisce per slittare sul fuori di sè, sul fare + economico. Ecco l'effetto di "vuoto", di rigonfiamento, di orpello ornamentale che prende allo stomaco chi vuol stare dentro la comunicazione alle persone e si ritrova a stare dentro il marketing d'immagine - rifletto. Per questo, da quando faccio il comunicatore pubblico, mi ritrovo a soffrire così spesso di ubbìa iconoclasta - concludo.

comunicazione, tutto

"La comunicazione comincia dovunque, media tutti i rapporti umani [..] non ha fine". Potrei adottare questa frase autologa di A. Wilden come emblema del mio integralismo comunicativo. Non riuscirò a ripeterla mai troppo per far capire che la comunicazione non è mai abbastanza considerata e troppo spesso misconosciuta. Massime, sul lavoro, dove tutte le forme di relazione tra gli uomini, le prerogative e livelli di status, pare valgano solo e sempre al netto dei poteri simbolici che i processi di comunicazione inevitabilmente comportano. Purtroppo, come la comunicazione, la lotta per rendere più consapevoli della comunicazione, anche se non comincia dovunque, "non ha mai fine".

sutra del Diamante

Leggete il Sutra del Diamante. Poi ne parliamo.

per capire

Apro questo blog dal di dentro di un pensiero che non posso esprimere. Perciò, consultare il libro sulle "Dieci ragioni (possibili) della tristezza del pensiero" di George Steiner, Milano 2007, Garzanti. Ma anche la critica al suo idealismo.