lunedì 17 dicembre 2007

la mattina, un che di metafisico

Il traghetto che sobbalza e caracolla in un frastuono di ferraglia e di sedili, mi porta per le strade di Roma. Da Prati al Lungotevere, da Piazza Augusto Imperatore a via del Corso, fino a Piazza Venezia. Finisce la corsa e poi mi scarica. Buio pesto, alba, aurora o chiarore mattutino, accompagnano il mio trasbordo da una condizione dell’essere ad un altra, secondo il succedersi delle stagioni. E’ il sacrificio del dover “morire alla vita” per trasformarla in forza lavoro, che avviene ogni giorno. Nello scandirsi dei ritmi stagionali osservati dal finestrino lungo il tragitto, mi sento partecipe, nel mio piccolo, di qualcosa di ancestrale e fatale che si ripete con assiduità. Questa Sconosciuta Realtà, sotto forma di Mezzo Pubblico, mi guida e mi accompagna nel passaggio rituale dall’Io alla Società. Mi aspetta al capolinea per trasmutarmi la coscienza durante il breve viaggio e ogni volta so che scenderò diverso da come sono salito. Dopo lo sciabordìo trasognato, con gli occhi pencolanti di qua e di là su qualche pagina di libro o a guardare le strade deserte della città, vengo consegnato all’approdo previsto. Ma prima, un che di metafisico, come la bruma di un limite oscuro, dispone della mia assonnata interiorità trascinata all’appuntamento di lavoro. So che non il Mondo ma il mio Io Diverso comincia anche oggi dal selciato dell’ultima fermata. Da lì, durerà tutto il giorno.

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