mercoledì 27 novembre 2024
Il discorso di Zarathustra
mercoledì 20 novembre 2024
Fatale barocchismo giuridico
Vieppiù ulceroso, mi accompagno ai miei giorni malati. Non si tratta di "doloretti" come dice Thacker, più giovane e vitale di me, in Rassegnazione infinita. E neppure sono solo "ammalazzato", come aggiungerebbe, benevolo, Pirandello, evitando di ricorrere ad un qualsiasi Manuale di patologia generale. Si tratta di artrosi ileo-sacrale, ernia discale e protusioni varie. E' lei, la sciatica o, meglio, la lombosciatalgia, a farmi provare l'amaro sapore della sorba esistenziale. Poi, si aggiungono, talvolta, anche tosse e mal di gola. Non si accompagnano soventemente alla febbre e quindi non si tratta di Covid 19, almeno questo. Ma l'acufene e la sindrome di Ménière, non mi danno tregua e non mi dispensano mai della loro compagnia. Sono ipocondriaco? Affetto da disturbo paranoide di personalità? Ma no, devo avere, da qualche tempo, un "certificato di abitabilità" del mio corpo, semplicemente scaduto. Per fortuna, sorrido pensando alla mostruosità della definizione burocratica che mi viene in mente di applicare al mio caso. Si trova nel Codice di stile delle comunicazioni scritte ad uso delle Pubbliche Amministrazioni, stilato nel 1993 dalla "Commissione Cassese". Dovete sapere che con goduria didattica enunciavo ai miei discenti, durante qualche lezione che aveva a che fare con la semplificazione del linguaggio burocratico, la curiosa domanda. Scandivo bene le parole e dicevo: "Sapete chi sono i soggetti passivi di provvedimenti esecutivi di rilascio?", sicuro dell'effetto shock della definizione ripresa dal Codice di stile. Clamore e stupore nell'aula quando, dopo qualche minuto di imbarazzato silenzio, spiegavo che si trattava della formula burocratica, usata in Italia dagli enti pubblici negli Avvisi alla cittadinanza, per indicare gli "sfrattati". Ecco ora, posso dirvi che, come inquilino del mio corpo, mi sento così, rassegnato ad essere un "soggetto passivo di provvedimento esecutivo di rilascio". Consentitemi solo, nel mio caso, di sostituire l'aggettivo "esecutivo" con "fatale" che mi sembra maggiormente appropriato...: "soggetto passivo di provvedimento fatale di rilascio". In questo modo, il barocchismo giuridico della mostruosa definizione burocratica, non potrebbe rifulgere più intensamente.
domenica 17 novembre 2024
Fili d'erba e orrore immanente
Immanenza, realtà in cui già sempre ci troviamo. Forse più di qualunque passo della Critica kantiana, ci fa capire il concetto filosofico di immanenza questo splendido haiku dello scrittore giapponese Kenko Yoshida (XIII-XIV sec.): "Seduto pacificamente senza far nulla/arriva la primavera/e l'erba cresce da sola". Senonché l'estatica immersione poetica del verso non fa giustizia del nostro reale esistere che ci presenta il conto quotidiano di una vita consustanziata di sofferenze e dolori. Essi, bisogna dirlo?, come l'erba, sembrano "crescere" da soli. Certo grande è la distanza ontologica tra un filo d'erba e la vicenda umana. Eppure, come negare una loro consustanziale immanente coappartenenza, legge fisico-biologica e legge dell'esistere? Forse, è sufficiente pensare a quanti fili d'erba, nel corso della storia umana, sono stati sporcati dal sangue di squartamenti e sgozzamenti di soldati, in guerre ed eccidi avvenuti sui campi di battaglia (leggere, al riguardo, la mappa storico-universale appena pubblicata di Siegmund Ginsberg, Macellerie, "raggelante promemoria della barbarie umana", come recita la quarta di copertina).
martedì 12 novembre 2024
Il Pessimista [assoluto]. Altre idee per un Manifesto
Il Pessimista [assoluto] che vorrei proporre per il Manifesto, non ha alcuna fede, alcun dogma, dottrina, ideologia o idea assoluta (per
l’accezione dell'aggettivo nelle parentesi quadre, vedi di seguito). Non è
agnostico, né gnostico, anche se taluni autori pessimisti lo lascino pensare.
Non è neanche uno scettico, per quanto possa essere propenso a pensare le sue convinzioni zeteticamente. Il Pessimista [assoluto] discrede in modo radicale pensando
che la verità non è “una terra senza sentieri” (Krishnamurti), ma più radicalmente “il mondo senza l’uomo” (Sgalambro). Per
questo ha molte affinità con i pensatori del realismo speculativo che propongono "ontologie piatte" (senza considerazione dell'uomo, appunto), "nichilismi trascendentali" e radicale superamento dell'antropocentrismo. Egli non
desidera dedicarsi accademicamente o scientificamente ad esercitare il diritto
di critica, sostenendo controversie, confutazioni o semplici polemiche rivolte ad altre dottrine o teorie. Non è né depresso, né
scoraggiato e non senza alcuna spinta a pensare. La teoria del pessimismo [assoluto] (improprio parlare di “assetto teorico”) vuole essere invece un autoesonero radicale e totale da ogni pretesa/proposta/soluzione/formula
razionale, irrazionale, mistica o pragmatico-operativa di liberazione, salvezza o illuminazione, formulate da teoria filosofica,
pessimistica o no, fino ad oggi. Vuole cioè prendere le distanze da
qualsivoglia “forza salvifica” che si
presenti o venga proposta anche solo come antidoto o quietivo della negatività e del
dolore dell’esistere. Sotto questo riguardo, disconosce esponenti di correnti
filosofiche pessimistiche (a cominciare dal prolisso e troppo metafisico Schopenhauer
fino a Mainländer e Michelstaedter, da
Egesia di Cirene a P.W. Zapffe) con le loro varie e disparate “soluzioni”
al dolore dell’umano (persino Zapffe, figura tre le più geniali e radicali del '900, sembra aprire alla fine dell'Ultimo Messia ad una positiva possibile speranza di estinzione dell'uomo). Tutti approcci che appaiono al pessimista [assoluto] basati su false, infondate o quantomeno
velleitarie “terapie”, votate immancabilmente al fallimento: Ascesi, Arte, Persuasione, Gnosi, Estinzione individuale o collettiva, Conoscenza, etc. Il Pessimista [assoluto] non fa nulla nel "marketing delle idee" non perché
non abbia qualcosa da dire, ma perché sa che laddove si polemizza, si critica,
si confuta, si agisce in funzione di una presunta verità superiore. E questa, per lui, non si dà [assolutamente]. Inoltre è in gioco un “ordine del discorso” volto in ogni caso all’esibizione di
posture autoreferenziali di puro egotismo e vanità, se non all’affermazione di ruoli e forme di potere. Solo
in senso simbolicamente “denegativo”, sospensivo, più prossimo a "totalmente libero" che a "illimitato", di teoria "sciolta" da condizionamenti (nel senso del termine latino "absolutus", da absolvere = sciogliere), deve essere
inteso il significato del significante [assoluto] tra parentesi quadre. Quindi, aggettivo indicante un pessimismo, senza "pars costrunes", alieno da ogni infondata e inveritiera pretesa
metafisica assoluta (qui, senza parentesi), basata su piccola o grande/ambiziosa ipotesi di revulsione spirituale dell’essere. Ora, c'è da dire, che ai limiti degli esponenti storici del pessimismo filosofico, sembra sottrarsi solo E.M.
Cioran – in questo senso, pessimista [assoluto] – che non propone alcuna teoria per la salvezza dell’umano, di ispirazione gnostica ma di un gnosticismo senza redenzione. Cioran, "squartatore misericordioso", non si spinge oltre l’idea di una agonia senza epilogo per la storia dell’uomo. Sotto una certa "fascinazione" del pensiero orientale, si espone esclusivamente
ad un elogio della filosofia dell’inazione (wu-wei), come sola forma di resistenza
all’illusione e alla schiavitù dell’esistenza (Un apolide metafisico, 2004). Tuttavia, se al pessimista [assoluto] una caratteristica filosofica significativa può essere attribuita e indicata nel Manifesto per elicitarne meglio la sua caratteristica propria, è senz’altro quella dell’essere "esausto" (épuisé) di Deleuze (L’esausto, 2015). L’essere esausto – ci avverte il filosofo francese - non è come
l’essere “stanco” che ha esaurito la messa in atto di qualsiasi possibile, ma come l’essere che ha esaurito “tutto” il possibile in quanto tale, giacché ha
rinunciato, aggiungiamo noi, in senso tecnico-filosofico a qualsiasi “appetizione” (ὂρεξις). Ciò
vuol dire che ha rinunciato al principio che spinge un essere vivente
all'azione in vista della soddisfazione di un bisogno, dell'appagamento di un
desiderio, della realizzazione di un fine. Ma non solo. Ha cessato di credere
in qualunque significato, tranne in quello presupposto nel dichiaralo. Ecco, il pessimista [assoluto] può essere definito un pessimista "esausto", con riferimento a qualunque "tecnica" o "teoria" di salvezza o liberazione dell'umano dalla sua condizione di sofferenza. Una condizione di "esaustità", se si può dire, conseguente e direttamente scaturente dal nucleo profondo dell' ἄβιος βίος, condizione difettivamente di inautenticità e mai vera pienezza della vita nel dominio inautentico della Rettorica, secondo Michelstaedter. E tuttavia, vale aggiungere in conclusione, il pessimista [assoluto], "esausto" e "non persuaso", privo di una qualunque certezza e speranza, non è un nichilista disperato e/o
“pericoloso” a sé o agli altri, ma un soggetto che fa dell’inazione la sua fondamentale ispirazione filosofica. Questo, ritengo, andrebbe indicato con forza e evidenza nel Manifesto del Pessimista [assoluto].
domenica 10 novembre 2024
Non levar la mano su di sé. Idee per un Manifesto
mercoledì 6 novembre 2024
Noi umani, spregevole gentaglia
Apprendo dalla cronaca di questi giorni che un padre, al solo scopo di ottenere un beneficio assistenziale per suo figlio neonato, ha sottoposto il corpo del bambino a sevizie, cercando di farlo diventare un "minorato". Meno per pudore che per ripulsa, non ho continuato a leggere per conoscere quali e come siano state inflitte queste torture. Tuttavia, non posso non inorridire di più, se possibile, per l'enormità "numerica" della trasgressione. Il fatto è che non uno, ma nientemeno che tre codici morali violati. Se si escludono naturalmente l'avidità economica e la cinica anaffettività. Nel gesto del padre, infatti, ne va: 1) dell'infrazione del tabù della violenza contro un essere vivente, in generale - primo codice morale violato; 2) dell'infrazione del tabù della violenza, in particolare, contro un proprio figlio - secondo codice violato; 3) dell'infrazione del tabù della violenza contro un proprio figlio neonato - terzo codice violato. Non so a quanti anni di reclusione corrisponda questo "primato", nel quarto codice, quello penale. Scusate, ma mi viene un pò impudicamente da pensare se atto più atroce possa essere commesso da essere umano. La mamma che si libera di un figlio gettandolo nel cassonetto della spazzatura? La tortura inflitta ad un corpo vittima di femminicidio con 73 coltellate? Le torture di Hannibal Lecter? Il fatto è che rimango sempre inchiodato al peso di una ammissione, visto che di essere umano si tratta, sempre e comunque, qualunque sia il grado di efferatezza della trasgressione. L'ammissione che io e voi, che pur non diamo né coltellate, né torturiamo bambini, abbiamo lo stesso DNA, siamo parte della stessa genìa, della stessa accolita di persone, della stessa spregevole gentaglia sulla terra (Arnobio di Sicca e Lotario di Segni, insegnano). Ricevo su WhatsApp la foto di un bambino appena nato di un amico. Non saprei come spiegare, io convinto antinatalista, le imperscrutabili nuances del mio gioire di circostanza.