martedì 12 novembre 2024

Il Pessimista [assoluto]. Altre idee per un Manifesto

Il Pessimista [assoluto] che vorrei proporre per il Manifesto, non ha alcuna fede, alcun dogma, dottrina, ideologia o idea assoluta (per l’accezione dell'aggettivo nelle parentesi quadre, vedi di seguito). Non è agnostico, né gnostico, anche se taluni autori pessimisti lo lascino pensare. Non è neanche uno scettico, per quanto possa essere propenso a pensare le sue convinzioni zeteticamente. Il Pessimista [assoluto] discrede in modo radicale pensando che la verità non è “una terra senza sentieri” (Krishnamurti), ma più radicalmente “il mondo senza l’uomo” (Sgalambro). Per questo ha molte affinità con i pensatori del realismo speculativo che propongono "ontologie piatte" (senza considerazione dell'uomo, appunto), "nichilismi trascendentali" e radicale superamento dell'antropocentrismo. Egli non desidera dedicarsi accademicamente o scientificamente ad esercitare il diritto di critica, sostenendo controversie, confutazioni o semplici polemiche rivolte ad altre dottrine o teorie. Non è né depresso, né scoraggiato e non senza alcuna spinta a pensare. La teoria del pessimismo [assoluto] (improprio parlare di “assetto teorico”) vuole essere invece un autoesonero radicale e totale da ogni pretesa/proposta/soluzione/formula razionale, irrazionale, mistica o pragmatico-operativa di liberazione,  salvezza o illuminazione, formulate da teoria filosofica, pessimistica o no, fino ad oggi. Vuole cioè prendere le distanze da qualsivoglia “forza salvifica” che si presenti o venga proposta anche solo come antidoto o quietivo della negatività e del dolore dell’esistere. Sotto questo riguardo, disconosce esponenti di correnti filosofiche pessimistiche (a cominciare dal prolisso e troppo metafisico Schopenhauer fino a Mainländer e Michelstaedter, da Egesia di Cirene a P.W. Zapffe) con le loro varie e disparate “soluzioni” al dolore dell’umano (persino Zapffe, figura tre le più geniali e radicali del '900, sembra aprire alla fine dell'Ultimo Messia ad una positiva possibile speranza di estinzione dell'uomo). Tutti approcci che appaiono al pessimista [assoluto] basati su false, infondate o quantomeno velleitarie “terapie”, votate immancabilmente al fallimento: Ascesi, Arte, Persuasione, Gnosi, Estinzione individuale o collettiva, Conoscenza, etc. Il Pessimista [assoluto] non fa nulla nel "marketing delle idee" non perché non abbia qualcosa da dire, ma perché sa che laddove si polemizza, si critica, si confuta, si agisce in funzione di una presunta verità superiore. E questa, per lui, non si dà [assolutamente]. Inoltre è in gioco un “ordine del discorso” volto in ogni caso all’esibizione di posture autoreferenziali di puro egotismo e vanità, se non all’affermazione di ruoli e forme di potere. Solo in senso simbolicamente “denegativo”, sospensivo, più prossimo a "totalmente libero" che a "illimitato", di teoria "sciolta" da condizionamenti (nel senso del termine latino "absolutus", da absolvere = sciogliere), deve essere inteso il significato del significante [assoluto] tra parentesi quadre. Quindi, aggettivo indicante un pessimismo, senza "pars costrunes", alieno da ogni infondata e inveritiera pretesa metafisica assoluta (qui, senza parentesi), basata su piccola o grande/ambiziosa ipotesi di revulsione spirituale dell’essere. Ora, c'è da dire, che ai limiti degli esponenti storici del pessimismo filosofico, sembra sottrarsi solo E.M. Cioran – in questo senso, pessimista [assoluto] – che non propone alcuna teoria per la salvezza dell’umano, di ispirazione gnostica ma di un gnosticismo senza redenzione. Cioran, "squartatore misericordioso", non si spinge oltre l’idea di una agonia senza epilogo per la storia dell’uomo. Sotto una certa "fascinazione" del pensiero orientale, si espone esclusivamente ad un elogio della filosofia dell’inazione (wu-wei), come sola forma di resistenza all’illusione e alla schiavitù dell’esistenza (Un apolide metafisico, 2004). Tuttavia, se al pessimista [assoluto] una caratteristica filosofica significativa può essere attribuita e indicata nel Manifesto per elicitarne meglio la sua caratteristica propria, è senz’altro quella dell’essere "esausto" (épuisé) di Deleuze (L’esausto2015). L’essere esausto – ci avverte il filosofo francese - non è come l’essere “stanco” che ha esaurito la messa in atto di qualsiasi possibile, ma come l’essere che ha esaurito “tutto” il possibile in quanto tale, giacché ha rinunciato, aggiungiamo noi, in senso tecnico-filosofico a qualsiasi “appetizione” (ὂρεξις). Ciò vuol dire che ha rinunciato al principio che spinge un essere vivente all'azione in vista della soddisfazione di un bisogno, dell'appagamento di un desiderio, della realizzazione di un fine. Ma non solo. Ha cessato di credere in qualunque significato, tranne in quello presupposto nel dichiaralo. Ecco, il pessimista [assoluto] può essere definito un pessimista "esausto", con riferimento a qualunque "tecnica" o "teoria" di salvezza o liberazione dell'umano dalla sua condizione di sofferenza. Una condizione di "esaustità", se si può dire, conseguente e direttamente scaturente dal nucleo profondo dell' ἄβιος βίος, condizione difettivamente di inautenticità e mai vera pienezza della vita nel dominio inautentico della Rettorica, secondo Michelstaedter. E tuttavia, vale aggiungere in conclusione, il pessimista [assoluto], "esausto" e "non persuaso", privo di una qualunque certezza e speranza, non è un nichilista disperato e/o “pericoloso” a sé o agli altri, ma un soggetto che fa dell’inazione la sua fondamentale ispirazione filosofica. Questo, ritengo, andrebbe indicato con forza e evidenza nel Manifesto del Pessimista [assoluto]

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