Fig. 1) Volto del Cristo Portacroce dei Giustiniani (prima versione) presso Bassano Romano. |
Se non fossimo schiantati dal suo sorriso estatico e sublime, potremmo dire che è una perfetta metafora della vita. Di fronte alla venatura nera sul volto e sul collo della prima versione del Cristo Portacroce di Michelangelo, chiamato Cristo dei Giustiniani e collocato nel Convento di San Vincenzo di Bassano Romano (Fig. 1), anche un maestro zen, invece di far roteare un bastone per provocare il satori, si sarebbe accorto che l'allievo può illuminarsi, solo osservandolo. Si potrebbe immaginare che, Michelangelo, prima di regalarlo al suo committente, Metello Vari, nel 1516, quella venatura nera, la indicasse lui stesso come una metafora della vita. Ma Michelangelo non lo fece e c'è da presumere che svogliatamente si impegnasse ad una nuova scultura. Il cui esito non esaltante si vede attualmente nella Basilica della Minerva. Non si creda sia una bestemmia sostenere che, ictu oculi, la seconda versione sembra artisticamente alquanto malriuscita, presumibilmente per via del completamento dell'opera da parte dei suoi non geniali allievi. Infelicità della statua rafforzata dalla presenza del famoso perizoma "oltraggioso" (a contrario, rispetto all'intenzione censoria) in bella mostra nella Chiesa di S. Maria sopra Minerva (Fig.2). Perizoma imposto dalla cigliosa Chiesa controriformistica del '600. C'è da dire che quella venatura nera conferisce ancora più forza al significato redentivo dell'ineffabile espressione del Cristo. Venatura, lì incastonata nel marmo, a rappresentare così prosaicamente e veridicamente il dolore e l'imperfezione della vita. Ad ammirare nella sua corrusca perfezione, la prima versione del Cristo dei Giustiniani, c'è da restare davvero stupiti che Michelangelo abbandonasse la sua opera. Verosimilmente, questa versione del Cristo Portacroce che possiamo vedere noi contemporanei, è una versione modificata e rifinita prima della sua attribuzione a Michelangelo, avvenuta cinque secoli dopo, nel 2000, a conclusione delle sue varie peripezie da proprietario in proprietario, fino all'acquisizione da parte dei nobili Giustiniani. Forse, lo stupore si converte in straordinaria massima ammirazione, se si dà credito a quello che si racconta a proposito dell'intervento sulla statua condotto addirittura da Gian Lorenzo Bernini. Si tratterebbe di maestrìa su maestrìa, opera di genio su opera di genio. Ecco che allora si capisce perché il Cristo Portacroce dei Giustiniani (Fig. 1), del primo Michelangelo, benché difettato, appaia corrusco e mistico e rifulga rispetto a quello della Minerva (Fig. 2), serio e castigato. Non si può che restare in silenzio e raccolta meditazione, di fronte al sorriso del primo, etereo, ineffabile e inafferrabile. Ma detto questo con grande trasporto lirico, noi pessimisti [assoluti] non possiamo non pensare a cosa c'è sotto questo lirismo, a cosa ne direbbe Zapffe, caro maestro. "Con il quarto meccanismo di difesa, la sublimazione la modalità di funzionamento è la trasformazione piuttosto che la soppressione: con un talento creativo o un’audacia incrollabile, si può essere in grado di trasformare le stesse agonie della vita in esperienze piacevoli". È la parte dell'Ultimo Messia del filosofo norvegese, in cui viene definita la quarta e ultima barriera (dopo l'isolamento, l'ancoraggio e la distrazione) di cui l'uomo si avvale per proteggersi dalla visione terrificante della vita, in cui ci scaraventerebbe la coscienza senza il suo scudo protettivo. Quali mali, quali orrori ha schermato "il talento creativo e l'audacia incrollabile" di Michelangelo per dar vita ai suoi capolavori sublimi? Da quali mali, da quali orrori, ci proteggiamo noi umani che nel sublime artistico di Michelangelo ci identifichiamo e ci sublimiamo, appunto? La risposta non è difficile e chi guarda con occhi disincantati il brutale corso della vita, prima ancora di considerare il valore simbolico della venatura nera del primo Cristo di Michelangelo, sicuramente la conosce benissimo.
Fig. 2) Cristo Portacroce (seconda versione) presso la Basilica di S. Maria sopra Minerva a Roma. |
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