Ad essere sinceri cristiani, si prova un certo imbarazzo a leggere alcune pagine dei Padri della Chiesa che parlano dell'uomo che, come si dice nel Genesi, è stato creato “ad immagine e somiglianza di Dio”. Quelle di un Arnobio di Sicca, di un Agostino, di un Lotario (Papa Innocenzo III), per esempio. Lo spregio per l'uomo e il mondo è massimo. Fino all'invettiva e alla maledizione oltraggiosa. Non che imprecazioni contro l'umanità peccatrice, manchino nell'Antico Testamento o nei libelli delle sette ereticali. Fra quelli cristiani, uno degli esercizi di spregio più misurati, per dir così, è contenuto nel passo che troviamo in Agostino (o forse Bernardo di Chiaravalle): "Inter faeces et urinam nascimur" (nasciamo tra le feci e l'urina, casomai fosse necessaria la traduzione). Questa veemenza nel dileggio dell'uomo, naturalmente, si spiega il più delle volte con la correlata affermazione della grandiosità della grazia divina che, più è spregevole l'oggetto su cui si posa, più salvifico appare il valore del suo intervento. Fatta questa premessa, stupiscono alquanto l'understatement argomentativo e il nitore stilistico del recente studio ampio e sistematico sull'Antinatalismo di Sarah Dierna dell'Università di Catania, uscito presso l'editore Mimesis col titolo "E' il nascere che non ci voleva". Leggo le 358 pagine e non trovo, contro la pur combattuta etica procreativa, una parola o locuzione men che affabile o scientificamente sorvegliata, contro l'uomo che vuole generare. Lo sottolinea, d'altra parte Alberto Giovanni Biuso, che nella prefazione al lavoro parla, a ragione, di uno studio sull'Antinatalismo, "sine ira et studio". Qui probabilmente l'onesta segnalazione è per via di un certo consapevole anticonformismo, anche accademico, nell'affrontare il tema e nel propugnare la scelta di non mettere al mondo un essere umano (soprattutto in un’epoca di crisi della natalità, come si sa, vieppiù deprecata nel mainstream imperante). A me, confesso, sono bastati questi pochi non comuni stilemi dell'opera, per indurmi alla sua convinta e appassionata lettura. Se non fosse anche per le potenti ragioni teoretiche, prima ancora che etiche ed ecocentriche (nel senso dell'Ecologia profonda), che innervano il discorso sull'Antinatalismo. Il riferimento dell'ultimo capitolo alla Gelassenheit heideggeriana, poi, non fa che confermare la mia idea di understatement non solo discorsivo dell'opera, ma soprattutto filosofico. Di fronte al problema del vivere e dello stare al mondo, nel contesto di un universo caotico e abiotico, non si può che assumere la postura del "lasciar-essere", sembra dirci la Dierna, nella risonanza teoretica dell'ultimo Heidegger. Id est, a mio modesto avviso, una laica propensione di sereno abbandono al niente del nostro esserci, nel niente del ciclo cosmico. E si potrebbe anche dire, riprendendo le ultime frasi dello studio, che Gelassenheit è anche l’atteggiamento del "lasciar-non-essere" chi al mondo non è ancora venuto. Per l'insolita e garbata gentilezza del proposito antinatalista, ci piace pensare che chi non è ancora, possa essere, per così dire, riconoscente all'uomo - se l'invito gentile antinatalista viene messo in pratica - per non averlo costretto ad essere, dovendo annichilire, poi, al momento dell'esecuzione della condanna a morte, conseguente al suo nascere.
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