Universo abiotico. L'Universo viene definito dagli addetti ai lavori come: "Il complesso di tutto lo spazio che contiene materia ed energia". Questo spazio, come si sa, ha a che fare con pianeti, stelle, spazio interstellare e galassie. Solo di queste ultime se ne contano centinaia di miliardi ovvero, in formula matematica, dieci alla undicesima. Quanto al suo tempo di esistenza gli scienziati calcolano all'incirca 14 miliardi di anni dal Big Bang. In questo quadro, l'esistenza di forme di vita sulla Terra (abiogenesi) dura da 4,4 miliardi di anni e, in esso, l'intervallo di esistenza dell'uomo originato dalla cosiddetta "Eva mitocondriale", prima madre di tutti gli umani, appare del tutto irrisorio: al massimo 200 mila anni. Non parliamo dell'Homo Sapiens la cui esistenza che è alla fine, per durata, non maggiore di quella di un battito di ciglia nell'immensità dei 14 miliardi di vita dell'Universo. Tutto questo ci racconta una unica storia difficile da digerire per l'uomo e la suo prosopopea cosmica: la caduta del biocentrismo, primato biologico del tutto usurpato in questo contesto cosmico, la pari inconsistenza dell'antropocentrismo e la fine di qualunque principio valido di autodeterminazione dell'umano. Un Tutto dunque indifferente all'essere umano. Anzi, apertamente ostile alla vita, come sottolinea Marco Lanterna, nel suo Peisithanatos (2021) richiamando i "pesi massimi del pessimismo" a maggiore considerazione della conseguenze di questa verità metafisica. "La vita vien fuori da brodetti, tiepide pozze, acquitrini primordiali: origini putride e graveolenti" e "L'orrore del Cosmo per la vita è fin troppo superiore a quello che esso nutre per il vuoto", dice. La Terra e l'uomo che "come una scabbia c'infuria sopra", non sono ben visti dall'assetto di perfezione abiotica del Cosmo e dunque l'unico miglioramento possibile per un uomo, "malvagio e immedicabile", è l'estinzione. Tanto poi alla fine arriva comunque la morte termica e il collasso entropico dell'Universo. Dunque, in conclusione, anche nelle cose dell'Universo, terza innodìa dell'insensato.
martedì 22 ottobre 2024
Topografia dell'insensato - Secondo quadro
Indeterminismo biologico. Darwinismo e ordinamento a-teleologico (non finalistico) della vita sono paradigmi e orientamenti scientificamente prevalenti. Non si da una direzione predefinita o un progetto nella selezione naturale. In natura, dichiara la scienza biologica, le mutazioni avvengono in modo casuale e la selezione naturale si basa sull'interazione tra le caratteristiche contingenti degli organismi e l'ambiente circostante. Quest'ultimo cambia anch'esso in continuazione. In altri termini, l'evoluzione non procede verso uno scopo finale predeterminato, ma si adatta di volta in volta a condizioni contingenti. Qui, prima ancora di ricorrere a Nietzsche, con icastica evidenza, vanno a schiantarsi le favole morali, metafisiche, religiose e mistiche che l'uomo si è raccontato per millenni sulla vita. Peter Wessel Zapffe, biofilosofo, pessimista e antinatalista, un pò spariglia questo paradigma di indeterminazione con l'idea - alquanto suggestiva - di "un errore della natura", "un tragico passo falso" che ha portato al sorgere della coscienza nell'uomo. Escrescenza di sensi, questa, di sentimenti, esperienze e valori che lo spinge ad una superfetazione di convinzioni sul suo sé, sulla sua tracotante superiorità nella natura rispetto agli altri ordini di esseri viventi e perfino sul senso del suo destino nell'universo. Sulfurea la metafora usata da Zapffe per descrivere la coscienza. Come dice la studiosa Sarah Dierna (2024) "[...] una spada dalla doppia lama molto affilata e senza impugnatura ma chi la usava [...] doveva afferrarla per la lama e rivoltare contro se stesso uno dei suoi fili [...] un’arma che tuttavia la rese non solo onnipotente sul mondo, ma egualmente pericolosa per se stessa." In questo senso, la nozione del tragico - nota la studiosa -, si avvicina a quella dell'assurdo di Camus, ma ne rimane distinta in quanto "mentre l’assurdo non è nel mondo e non è nell’io bensì nella co-occorrenza dell’uno e dell’altro, il tragico è biologicamente iscritto nell’io che abita il mondo, si manifesta dunque nella dinamica di co-occorrenza ma la causa motrice di tale sentimento appartiene alla natura umana". In attesa che le neuroscienze cognitive vengano a capo del "problema difficile della coscienza"(Hard Problem of Consciousness), la tragedia dell'uomo, è soprattutto qui. Nonostante tutti gli escapismi adattivi escogitati dal genere umano e che Zapffe descrive con precisione nell'Ultimo Messia (1933), nel solco di Pascal e di Freud. Difficile tuttavia non obiettare al filosofo norvegese che il "tragico passo falso" che la natura avrebbe fatto con la coscienza, contrasta con l'indeterminismo biologico afinalistico di cui dicevamo sopra, quasi proiettando implicitamente nella natura un disegno fatto di passi "corretti", da cui devierebbe il passo falso. Qui noi non vogliamo far torto alla lucidità adamantina della biofilosofia con cui Zapffe ha saputo dire: "Veniamo da un inconcepibile nulla. Stiamo per un po' in qualcosa che ci sembra parimenti inconcepibile, solo per svanire ancora in un inconcepibile nulla". E' chiaro che a questo "inconcepibile nulla", non può sfuggire il balletto di mutazione e contingenza dell'indeterminismo ateleologico della natura. Dunque, nelle cose della vita, seconda innodìa dell'insensato.
Topografia dell'insensato - Primo quadro
Orrore storico. Il "Libro nero" di Matthew White sulle cento peggiori atrocità della storia è del 2011. Troppo esiguo nelle sue neanche mille pagine, andrebbe già notevolmente aggiornato e incrementato con le carneficine dell'ulteriore compiersi nei 13 anni seguenti, della teratologia umana. Si potrebbe attingere al Libro nero del comunismo o a quello del Capitalismo o del Rinascimento e ad altri vari Libri neri, ma il quadro dell'orrore storico resterebbe in ogni caso parziale e incompleto. Il punto non è la scala di grandezza dei numeri, comunque terrificanti e praticamente inconcepibili per la sensibilità umana. Il punto è l'inimmaginabile efferatezza, la crudele multiformità, l'illimitata pervasività e spesso la totale impunità, con cui nella vicenda storica dell'umano i crimini vengono commessi. Adriana Cavarero (2007) ha proposto la categoria dell'"orrorismo", categoria che mira a spostare il baricentro dell'attenzione non su chi la violenza la perpetra, ma su chi la violenza la subisce: i vulnerabili e gli inermi. Bernard Bruneteau (Il secolo dei genocidi, 2005) e Marcello Floris (Il genocidio, 2021) riportano dovizie di definizioni sul tema dei genocidi, soprattutto negli ultimi decenni da parte delle organizzazioni internazionali. Che, d'altra parte, sono impotenti di fronte al perpetuarsi delle stesse atrocità, perpetrate, anche come veri e propri genocidi, senza soluzione di continuità con il presente millennio. Ma al di là di queste definizioni, che possono sembrare quasi irriguardose, vale il pessimismo di Wolfgang Sofsky che pensa alla malvagità e alla violenza dell'uomo come iscritte irredimibilmente nella natura ontologica dell'uomo. Nelle vicende storiche sembra l'unica teoria convincente. Infatti, l'idea che questa iscrizione sia sempre stata in atto in tutte le epoche storiche, sembra alquanto difficile da smentire razionalmente. Così come il suo enunciato secondo cui: "L'affermazione di vivere in un'età di progresso dei costumi è indice di cecità storica e appartiene alla mitologia della civiltà moderna”. Dunque, nelle cose della Storia, prima innodìa dell'insensato.