Universo abiotico. L'Universo viene definito dagli addetti ai lavori come: "Il complesso di tutto lo spazio che contiene materia ed energia". Questo spazio, come si sa, ha a che fare con pianeti, stelle, spazio interstellare e galassie. Solo di queste ultime se ne contano centinaia di miliardi ovvero, in formula matematica, dieci alla undicesima. Quanto al suo tempo di esistenza gli scienziati calcolano all'incirca 14 miliardi di anni dal Big Bang. In questo quadro, l'esistenza di forme di vita sulla Terra (abiogenesi) dura da 4,4 miliardi di anni e, in esso, l'intervallo di esistenza dell'uomo originato dalla cosiddetta "Eva mitocondriale", prima madre di tutti gli umani, appare del tutto irrisorio: al massimo 200 mila anni. Non parliamo dell'Homo Sapiens la cui esistenza che è alla fine, per durata, non maggiore di quella di un battito di ciglia nell'immensità dei 14 miliardi di vita dell'Universo. Tutto questo ci racconta una unica storia difficile da digerire per l'uomo e la suo prosopopea cosmica: la caduta del biocentrismo, primato biologico del tutto usurpato in questo contesto cosmico, la pari inconsistenza dell'antropocentrismo e la fine di qualunque principio valido di autodeterminazione dell'umano. Un Tutto dunque indifferente all'essere umano. Anzi, apertamente ostile alla vita, come sottolinea Marco Lanterna, nel suo Peisithanatos (2021) richiamando i "pesi massimi del pessimismo" a maggiore considerazione della conseguenze di questa verità metafisica. "La vita vien fuori da brodetti, tiepide pozze, acquitrini primordiali: origini putride e graveolenti" e "L'orrore del Cosmo per la vita è fin troppo superiore a quello che esso nutre per il vuoto", dice. La Terra e l'uomo che "come una scabbia c'infuria sopra", non sono ben visti dall'assetto di perfezione abiotica del Cosmo e dunque l'unico miglioramento possibile per un uomo, "malvagio e immedicabile", è l'estinzione. Tanto poi alla fine arriva comunque la morte termica e il collasso entropico dell'Universo. Dunque, in conclusione, anche nelle cose dell'Universo, terza innodìa dell'insensato.
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