lunedì 31 marzo 2025

L'unica legge del dolore

John Maeda (1966), di formazione MIT, è scienziato del geniale incontro di design e tecnologia e autore di un libro-capolavoro su questo matrimonio: Le Leggi della semplicità, Bruno Mondadori, 2006. Non sappiamo se abbia letto P.W. Zapffe. In particolare, se abbia studiato i suoi quattro antidoti alla vita insensata elicitati nell'Ultimo Messia: isolamento, distrazione, ancoraggio, sublimazione. Tutti farmaci, nel senso greco del termine, che spiegano, secondo Zapffe, perché l'uomo, nonostante la coscienza si manifesti nella sua doppia valenza di potenza esterna e ferita interna, riesce a sopravvivere da millenni all'orrore della vita. Maeda nel libro sulla semplicità, valido per ogni ambito delle attività umane, si è affannato a ridurre a nove e poi ad una sola le sue auree leggi. L'unica rimasta, ci dice: Sottrarre l'ovvio, aggiungere il significativo. Sembrerebbe banale e scontata prescrizione e invece, a seguirla sul serio, è di una potenza universale e interminabile. Una sorta di acido corrosivo definitivo contro il superfluo ("sottrarre l'ovvio"), il confuso ("aggiungere il significativo") e quindi il "nocivo", prima di tutto semantico, di gran parte dell'operare e del comunicare pubblico, politico e burocratico. Così come della scrittura e delle arti creative e, non da ultimo, dell'operare della vita ordinaria. Detto questo, mi chiedevo, seriamente, cosa farebbe Maeda per semplificare i quattro farmaci di Zapffe, come applicherebbe ad essi la sua unica aurea legge. In particolare, quando la vita si presenta senza tanti "ammortizzatori" nelle ultime fasi della nostra età biologica, quando i decreti imperiali e feroci del corpo si impongono senza tante mediazioni come mali della senescenza: cronicismi assillanti, forti neuropatie, patologie varie, grandi nevralgie col volto delle malattie insanabili. Quando il dolore nocicettivo e le neuropatie, come dicono gli addetti ai lavori, si sovrappongono e si alternano inesorabilmente e la sofferenza non da nessuna tregua. E' in uno di questi momenti che l'applicazione della sua legge sembra rifulgere nella seguente formulazione, umana troppo umana: Sottrarre il peggio, aggiungere il lenitivo (che, in ottica di semplificazione esistenziale, corrisponderebbero, il primo, all'ovvio e, il secondo, all'elemento significativo). Non so se uno dei due o entrambi i miei amati autori acconsentirebbero a questa formulazione, dall'aspetto un po' bizzarro. So che, a me, pensare e spiegare in questo modo lo stato senescente della vita, è di grande conforto epistemico. Quando non c'è altra traiettoria esistenziale possibile, altra condizione fortemente periclitante: scappare dalla peggior sofferenza e adottare i più efficaci antidolorifici, in una mera strategia di sopravvivenza. A questo sembra ridotta la vita da vecchi, come legittima difesa dalle crudeli incursioni dei malanni. Chi infatti non adotta "naturalmente" questa unica legge della semplicità esistenziale, alla faccia di qualunque presunta grazia offerta dalla vita? Prima di lasciare in pace l'ecumene, dopo di lui?

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